“Una decisione che non comprendiamo e non condividiamo assolutamente. Si tratta di un intervento iniquo che discrimina le imprese, provocando danni economici pesantissimi”.
Così Confesercenti commenta il rigetto, da parte del Tar del Lazio, del ricorso avanzato dalla stessa associazione contro le chiusure obbligatorie nei week-end stabilito dal DPCM del 3 dicembre 2020.
“La giustificazione espressa a supporto del rigetto dal TAR, sottolinea Confesercenti, secondo cui il provvedimento impugnato sarebbe ‘ispirato dall’intendimento di garantire il necessario distanziamento sociale, con sacrificio temporaneo di alcune attività economiche, relative alla fornitura di beni e/o servizi non di prima necessità’, si scontra con l’evidenza che le stesse attività sospese all’interno dei centri commerciali sono invece possibili nei negozi che hanno sede fuori da queste strutture. Preoccupante, inoltre, l’ulteriore argomento seguito dal giudice amministrativo, secondo cui i DPCM oggetto di impugnazione, laddove individuano le attività economiche sospese nonché le misure limitative e le prescrizioni da adottarsi da parte delle attività non sospese ‘sono espressione di una discrezionalità che non risulta affetta da manifesta irragionevolezza, illogicità o sproporzionalità’: una motivazione che si scontra con l’iniquità del provvedimento, nei termini predetti”.
“La sospensione dell’attività degli 80mila negozi nei centri commerciali nei fine settimana”, conclude Confesercenti, “è dunque un provvedimento contraddittorio e gravemente penalizzante per le imprese. Non rispetta, infatti, i principi di adeguatezza e proporzionalità e si accanisce solo ed esclusivamente su una porzione di esercenti commerciali, scelti in modo del tutto arbitrario, perché se ne stabilisce la chiusura sulla base della dislocazione. Il danno è enorme: il fine settimana rappresenta il 40% delle vendite di queste attività commerciali, cancellarlo vuol dire generare una perdita di almeno 1,5 miliardi di euro per ogni weekend. Si introduce, inoltre, anche un elemento distorsivo della concorrenza: negozi della stessa tipologia, ma all’esterno dei centri commerciali, hanno potuto infatti rimanere aperti. Al danno si aggiunge la beffa delle motivazioni date dal Tar per il respingimento, che sembrano ispirate più da considerazioni di opportunità che costruite su solide basi tecnico-giuridiche”.
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